SANT’ANGELO A FASANELLA


Un viaggio tra natura, storia e fede

Il Cilento come è noto ha ispirato da sempre poeti e cantori, famoso è il mito dell’isola delle sirene, nell’Odissea. Questa parte del territorio campano, abitato in passato dagli antichi lucani, oltre all’immaginario è testimone della storia più remota del genere umano, con tracce evidenti che vanno dal Paleolitico medio al Neolitico, fino alle età dei metalli.

Esteso su un’area molto vasta che occupa praticamente la parte meridionale della provincia di Salerno, famoso soprattutto per le sue splendide coste e le lunghe spiagge dorate, il Cilento è un condensato di natura, storia, cultura e tradizioni capace di svelare ad ogni angolo sorprese inaspettate, spesso di notevole interesse.

Puro godimento per chi ama il vero viaggio di scoperta.

Percorrendo da ovest ad est la SP12/a a ridosso del versante meridionale degli Alburni, nel Parco del Cilento e Vallo di Diano, si attraversano i paesini come Controne, Castelcivita, Ottati, Sant’Angelo a Fasanella, Corleto Monforte. Piccoli borghi tranquilli addossati alla montagna e caratterizzati da una vita semplice e ritmi a misura d’uomo.

Tutti ovviamente meritano una visita, tuttavia la nostra attenzione è caduta su Sant’Angelo a Fasanella.

Un borgo di circa seicento abitanti che vanta ben due siti patrimonio UNESCO.

Ma la scoperta più grande arriva poco dopo aver parcheggiato il camper.

Si avvicina alla panchina, dove ero seduto con mia moglie, un signore dall’aria distinta e che si presenta in modo garbato. Bernardo Marmo, questo è il suo nome, ci da il benvenuto a Sant’Angelo e da subito si rende disponibile a guidarci nella visita al paese.

Superando l’esitazione per l’inaspettata accoglienza, accettiamo volentieri la proposta e, insieme, ci dirigiamo verso la Cattedrale di Santa Maria Maggiore.

Mentre percorriamo le stradine del borgo veniamo a sapere che  Bernardo è consigliere comunale con delega al turismo. Passiamo dalla sorpresa allo stupore, perché mai avremmo immaginato un’accoglienza del genere, soprattutto come viaggiatori in camper.

In realtà, veniamo a conoscenza che Bernardo calamita ogni ospite che viene a fare visita a Sant’Angelo, il suo unico obiettivo è far conoscere e propagandare le bellezze e i siti di interesse del territorio in cui è nato e vive.

Giungiamo alla cattedrale, non prima di aver conosciuto anche il giovane e simpatico parroco, condiviso con la vicina Ottati.

Situata nel cuore del centro storico, la chiesa sorge su un impianto originario risalente al XIV secolo. All’esterno, due leoni in pietra bianca fiancheggiano l’ingresso costituito da un portale marmoreo e il bel portone ligneo strutturato in riquadri che contengono raffigurazioni simboliche dello scultore Francesco da Sicignano.

L’interno, con soffitti a cassettoni, è a tre navate riccamente decorate e affrescate.

Sull’altare, preceduta da una balaustra e tra due coppie di colonne scanalate con capitelli, è posta la grande tavola con la Vergine del Rosario.

Alle pareti laterali, nel vano dell’altare, si ammirano scene del tardo Seicento, l’Ecce Homo e la Flagellazione e nelle pareti alte della navata centrale un ciclo di vita di Maria del pittore Giuseppe Guerra.

Sulla sinistra dell’ingresso una splendida acquasantiera opera di Francesco da Sicignano.

In fondo alla navata destra, nell’angolo della parete, si trova il grande tabernacolo in pietra sorretto da quattro colonne che sorgono da quattro piedistalli quadrangolari.

All’interno del ciborio su un altare, è collocato il protettore del paese, l’Arcangelo Michele, una scultura lignea di Giacomo Colombo, a cui si deve anche la statua dell’Assunta sull’altare maggiore.

In uno stipo laterale sono conservate alcune statue di santi e una reliquia del dito di S. Marco. Lateralmente all’altare maggiore sono poste le statue di S. Pietro e S. Paolo del 1532.

L’attuale tabernacolo, in stile barocco, è sistemato al centro della navata, sotto l’arco trionfale, sorretto da due alte colonne, preceduto da un’elegante organo settecentesco decorato, sul cui pannello centrale è rappresentata, con elegante fattura la Vergine Maria, del maestro locale Marco Valitutti.

All’interno del coro, sulle pareti laterali, vi sono due grandi dipinti: a sinistra l’Adorazione dei Magi e a destra il Battesimo di Gesù, purtroppo gravemente danneggiato.

La chiesa è completata dagli ambienti della sacrestia, sulle cui pareti, in alto, furono affrescati, alla fine del Settecento, gli abati che tennero S. Angelo in commenda. In essa sono anche conservate due tele, una dedicata ad un figlio famoso di S. Angelo a Fasanella, quel padre Luigi Lucia che fu nominato teologo di corte da Carlo di Borbone, ed un’altra dedicata all’abate Cantani Vitulani.

L’entusiasmo con il quale ci spiega i particolari, svela l’amore e l’orgoglio che Bernardo nutre per la sua terra.

Il nostro Cicerone, ci accompagna in auto, alla meravigliosa Grotta di San Michele Arcangelo, patrimonio UNESCO.

La Grotta, simbolo della religiosità cristiana dei Monti Alburni, si trova ai piedi di una parete rocciosa alla periferia del centro abitato e rappresenta il felice connubio tra natura, arte e fede.

Ospita il più importante insediamento rupestre dell’area territoriale degli Alburni, che ha restituito reperti di presenze umane dell’età paleolitica. Negli Alburni esistono, infatti, numerose grotte scavate nella roccia calcarea dal lavoro millenario delle acque, alcune abitate fin dall’epoca preistorica, altre destinate, nel corso dei secoli, a funzioni di carattere religioso e altre invece che hanno conservato un interesse esclusivamente speleologico e naturalistico.

Il Cilento, ricco di antri naturali, aveva conosciuto, sotto i Longobardi, una forte penetrazione di monaci greci, fuggiti, per le persecuzioni iconoclaste, dall’Impero d’Oriente. Nel Cilento appunto i monaci basiliani poterono trovare un ambiente confacente al loro sistema di vita, creandovi numerosi insediamenti monastici attorno ai quali si svilupparono spesso veri e propri villaggi.

Ampiamente diffuso in Italia meridionale, e soprattutto in Campania, è il culto dell’Arcangelo Michele, protettore e guida dei Longobardi (e che aveva sostituito, dopo la conversione al cattolicesimo, quello dell’antico dio guerriero Odino) localizzato negli antri e nelle caverne.

“Una leggenda popolare fa risalire la scoperta della grotta e l’origine del culto per l’Arcangelo Michele, a Manfredo, probabilmente un principe dell’antica città di Fasanella, che, cacciando nei boschi che un tempo lambivano la grotta, vide il suo falcone, lanciato all’inseguimento di una colomba, scomparire in una fenditura della roccia dalla quale perveniva una dolce melodia. Tornato con un seguito di servi e contadini alla ricerca del falcone e allargata la fenditura, scoprì una meravigliosa grotta con un altare e sulla parete retrostante un’impronta delle ali dell’Arcangelo Michele. Da allora la sacra grotta fu tenuta in somma venerazione dal popolo.”

L’accesso è costituito da un portale quattrocentesco in pietra, sollevato su due gradini e con capitelli decorati sul fronte esterno da un fiore stilizzato a rilievo, le cui basi sono arricchite dalle figure di un leone e di una leonessa di gusto neoromanico che reggono l’intera struttura, attribuito a Francesco Sicignano, maggiore scultore del quattrocento cilentano.

All’interno, a destra dell’ingresso, si trova una vera da pozzo a base quadrata rivestita da piccole mattonelle di ceramica napoletana recanti la data del 1614 e sullo spiazzo antistante lo stemma della famiglia Caracciolo scolpito su un blocco di pietra.

Nella prima sala, a circa 5 metri dall’attuale piano di calpestìo, vi è sulla parete rocciosa una edicola con tetto a due spioventi e due pannelli nei quali sono effigiati a sinistra l’Angelo Annunciante e a destra la Vergine Annunciata e al centro una zona affrescata, purtroppo molto rimaneggiata, dove a stento si riesce a distinguere l’immagine di S. Giovanni Battista.

Sulla parete di roccia, quasi di fronte all’ingresso, si trova la cappella dedicata alla Madonna dell’Immacolata, sul cui altare vi è un grande quadro, con cornice ad intaglio barocco, raffigurante la Vergine che schiaccia il dragone infernale, di Giovanni De Gregorio detto di Pietrafesa.

Sulla destra non lontano da questo altare, probabilmente in quella che viene indicata come cappella della Pietà, sul pulpito ligneo, è dipinto il Cristo che sorge dal sepolcro.

Dietro l’altare dell’Immacolata si apre una cavità che conserva un arcosolio in stucco databile al Quattrocento, con al centro la Vergine con il Bambino benedicente, a sinistra l’Angelo Annunciante in atto di offrire un giglio e a destra l’Annunciata e sulla parete di fondo Santa Caterina d’Alessandria e S. Vito.

Continuando sul leggero pendio, scivoloso per l’intensa umidità e per il continuo stillicidio della volta della grotta, si trova una bellissima Vergine con Bambino in gesso dei primi anni del Trecento.

Nell’altra grande sala della grotta, sulla parete di fondo, spicca lo stupendo altare marmoreo con la statua di S. Michele Arcangelo, sempre in marmo, del XVII secolo, attribuita a Giacomo Colombo d’Este, discepolo di Domenico di Nardo, le cui opere di chiara influenza napoletana sono diffusissime in tutto il territorio cilentano.
Alle spalle dell’altare, sulla roccia naturale, sono dipinte due ali d’angelo; in basso, sotto di esse, si apre una cavità naturale dove anticamente scorreva acqua e utilizzata come fonte battesimale.

La grotta, oltre allo schiaffo termico, dai 30° esterni ai circa 12° interni, trasmette a chi entra uno strano e profondo senso mistico, indipendentemente dalla fede religiosa.

Il pomeriggio si chiude con la visita alla chiesa di San Francesco con i due chiostri e l’annesso convento, poco al di sopra del pianoro dell’ Ortale e non lontano dal centro.

La chiesa si presenta ampia e luminosa, ad una navata e con tre altari per lato adornata con statue e tele.

Al di sopra dell’ingresso è posto l’organo, dietro l’altare è il coro dal quale si accede in sagrestia e di qui al primo chiostro intorno al quale erano disposti gli ambienti di servizio, e poi il secondo chiostro sul quale si aprono le celle dei frati. Il convento era munito di una ampia e ricca biblioteca.

Rapiti e coinvolti dalla compagnia di Bernardo, vista l’ora e considerato che non c’è tempo di preparare la cena, decidiamo di accomodarci nella vicina pizzeria e goderci il pranzo serale.

Ovviamente l’appuntamento con Bernardo è fissato all’indomani per la continuazione del tour.

E puntuale il mattino successivo, attrezzati per il trekking, affrontiamo la bella e panoramica passeggiata sulla cima di Costa Palomba, a circa 4 Km dal borgo, tra felci, ginestre ed enormi faggi, fino a quota a 1125 m. per osservare l’Antece (termine cilentano che vuol dire semplicemente “Antico”), il guerriero di pietra vecchio 2500anni, patrimonio UNESCO).

La figura, a grandezza naturale (altezza 1,60 m), rappresenta un guerriero vestito con un chitone e armato di scure o clava e di uno scudo. Orientata verso ponente, probabilmente è la rappresentazione di un dio o di un eroe.

Difficile stabilire chi e perché l’abbia scolpita proprio in questo luogo montano.

Si sa che Il Monte Costa Palomba era sede di un antico castrum dei Lucani. I Lucani erano un popolo italico, che abitava nell’entroterra campano prima dei romani; un popolo legato alle tradizioni, che si scontrò dapprima con i Greci e in epoca successiva con i Romani, che avevano invaso la Campania.  Il castrum era una fortezza situata sulla sommità di Costa Palomba, fortezza di cui si vedono i resti delle mura. Un luogo privileggiato, in quanto da qui i militari godevano di un panorama mozzafiato che spaziava in tutta la Valle del Calore, lungo il Fasanella (il fiume che scorre a valle) e addirittura, nelle giornate terse, verso il mare. Quando non c’è foschia, è possibile da questo punto distinguere addirittura l’isola di Capri. Era, dunque, un luogo in qualche misura “sacro” dal punto di vista naturalistico, per la meraviglia della sua posizione. Com’è noto, i popoli antichi, erano soliti porre in zone particolarmente panoramiche i propri luoghi di culto.

Non fa eccezione l’Antece: la scultura era, infatti, una sorta di icona religiosa pagana dei Lucani, dunque un simbolo votivo per i pellegrini dell’epoca.

Antece, infatti, era la divinità pagana degli Alburni; tutti i Lucani erano tenuti a salire sul monte per adorarlo; i locali e anche chi era semplicemente di passaggio nella zona, attratti dalla fama della divinità e della statua, erano soliti chiedere profezie alla statua e compiere riti propiziatori, con l’ausilio di sacerdoti.

Spesso si compivano sacrifici animali, per ingraziarsi la divinità.

L’Antece era sito al centro di un sistema di fortificazioni; per questo, era una sorta di divinità guerriera, come si evince dalla descrizione della scultura: un guerriero vestito con il chitone, che era la tipica tunica dell’antichità (diffusissima tra i greci), fornito di scure e di scudo.

La giornata corre veloce dai 1125m dell’Antece alle faggete che nascondono grotte e inghiottitoi nelle cavità carsiche della montagna.

Bernardo, e solo lui poteva farlo, quale profondo conoscitore della sua terra, ci accompagna attraverso un percorso non proprio comodo dapprima alla grava del Fumo, il profondo inghiottitoio frequentato da speleologi provenienti da diverse parti d’Italia, e successivamente alla grotta di Fra Gentile una cavità carsica nascosta nel bosco con gli enormi faggi che popolano l’altopiano.

Dopo una breve sosta nella vicina area pic-nic, per rifocillarci e riprendere un po’ delle energie spese nella lunga passeggiata, scendiamo a valle alle sorgenti dell’Auso, altro luogo di notevole interesse per la presenza del ponte di età altomedievale (V-VI secolod.C.) con la caratteristica schiena d’asino.

Nell’area le sorgenti alimentano un sistema di cascate, che alla fine dell’ottocento facevano funzionare dei mulini, dando all’area una connotazione industriale.

L’esplorazione, soprattutto per il tempo a disposizione, volge al termine ma raramente ci è capitato di vivere un fine settimana così intenso e interessante.

Certamente Bernardo Marmo in tutto questo ha delle grosse responsabilità, perché ci ha fatto vivere il territorio nei sui aspetti più intimi e intriganti. Comprese le bontà gastronomiche del luogo, tra tutte spicca secondo me il formaggio di capra acquistato direttamente a casa della signora che lo produce.

Questo report, intenzionalmente, non riporta tutto quanto il nostro nuovo amico ci ha confidato della sua comunità, perché la visita a Sant’Angelo a Fasanella, come dicevo all’inizio, deve rimanere un viaggio di scoperta e non una visita guidata.

Un grazie di cuore a Bernado, patrimonio della COMUNITA’.

C. Buonocore

Bernardo Marmo è felice di incontrare tutti coloro che passano per Sant’angelo a Fasanella.

3397753001 bmarmo@tiscali.it

Ha assicurato, inoltre, che a breve l’amministrazione locale intende allestire un’area attrezzata per camper.