L’IRPINIA E LE CITTA’ ITINERANTI

Diciamo subito che l’Irpinia, parafrasando una vecchia reclame televisiva, non è da turismo “Alpitour”, al contrario, è per il turismo fai da te, libero, indipendente, di scoperta …“in camper”.

Siamo in una vasta area verde che coincide in linea di massima con la provincia di Avellino, sull’Appennino Campano meridionale al confine con la Puglia e la Basilicata, caratterizzata da piccoli altopiani separati da profonde e larghe valli ricche di boschi cedui, con rilievi ricoperti di folte foreste di latifoglie e di sempreverdi.

La statale 7 Appia, che percorriamo per diversi chilometri, si snoda dolcemente ondeggiando sui crinali delle colline, in un paesaggio rilassante con paesini arroccati che appaiono deliziosamente di curva in curva, come slides in dissolvenza proiettate sul parabrezza del camper. Un percorso godibilissimo anche per chi sta alla guida del proprio mezzo.

La prima meta dell’itinerario è Calitri, deliziosa e ospitale cittadina, dove l’Amministrazione locale per l’occasione riserva un ampio parcheggio in cui si sistemano i numerosi camper giunti tra la sera del venerdì e il mattino del sabato.

Il paese, che oggi conta poco meno di 5000 abitanti, in passato era riconosciuta come la Positano dell’Irpinia, per il caratteristico profilo dell’abitato che richiamava quello della famosa località della costiera amalfitana. Gli eventi sismici e le frane dovute alla friabilità della roccia arenaria hanno modificato negli anni la geomorfologia e l’assetto urbanistico del territorio.

Se ne ha la chiara percezione salendo in direzione del centro storico, il borgo-castello. La visione delle case nella parte non ancora restaurata, con i segni ancora visibili del terremoto, non lascia indifferente nemmeno il turista più distratto.

E’ un’istantanea tridimensionale che sembra scattata in quell’attimo del 23 novembre del 1980 e che si imprime profondamente negli occhi e nel cuore del visitatore, proiettandolo inevitabilmente ai quei tragici momenti di sofferenza.

Il borgo-castello è un dedalo di strette viuzze che si snoda tra le antiche casette che costituivano l’agglomerato a ridosso del Castello.

Questa parte del borgo, perfettamente restaurata e ritornata al  suo splendore,  è una rara e significativa testimonianza storico-architettonica del periodo che va dalla fondazione del fortilizio a quello cinquecentesco.

Il nucleo del Castrum, infatti, è del XIII secolo, quando dominava sovrano Federico II di Svevia. Risale a quel periodo anche la costruzione dell’agglomerato del vecchio borgo sorto intorno al castello, oggi orgoglio medievale della cittadina.

A Calitri durante gli scavi conseguenti ai vari interventi di ricostruzione, così come è accaduto in altre località limitrofi, sono stati rinvenuti numerosi reperti storici e preistorici di notevole interesse che, oltre ad arricchire il patrimonio culturale di queste popolazioni, hanno consentito una più precisa datazione dei primi insediamenti locali, che si collocano in un periodo che va tra il VI e il V secolo a.C..

Quest’area, infatti, era popolata dai Sanniti, l’antico popolo che occupava un territorio che si estendeva tra le attuali province di Isernia e Benevento.

Era una comunità fondamentalmente dedita al nomadismo e questa, molto probabilmente, doveva essere utilizzata come zona di caccia. La denominazione Irpinia, infatti, deriva proprio dal nome dell’animale, loro insegna, venerato in onore del dio Marte: Hirpus, che nella lingua osca significa lupo. 

Sebbene siano stati rinvenuti finanche reperti protostorici di grande interesse, nel maggio del 2010 il progetto di riqualificazione di Castrum Calitri ha consentito l’allestimento del Museo della Ceramica, visitabile contattando l’ufficio della proloco.

Dal punto più alto del Castrum la vista spazia a 360° e, nelle giornate terse, si possono osservare addirittura alcune località della Puglia orientale.

Nel borgo sono presenti numerose grotte scavate nella roccia, che sono utilizzate per la stagionatura finale dei famosi caciocavalli del grande caseificio locale, ubicato a valle del paese, dove si producono latticini e formaggi di primissima qualità, ottenuti da latte selezionato e controllato scrupolosamente proveniente dagli allevamenti dei paesi vicini.

Il responsabile ci ha consentito di assistere ad alcune fasi della produzione, illustrando nel dettaglio i vari passaggi della lavorazione, che si concludono con la lunga e  meticolosa stagionatura, prima in apposite camere di essicazione e poi in grotta, per la gioia del palato. Con un po’ di stupore, ma con ammirazione abbiamo appreso che questi formaggi sono esportati soprattutto all’estero: in Europa e negli Stati Uniti.

La posizione geografica, un po’ defilata dalle grandi vie di comunicazione, la lontananza dalle grandi città, ma più di tutto la tipicità della gente che, sebbene provata e martoriata dagli eventi, è tenace come nelle migliori tradizioni contadine legate profondamente alla loro terra d’origine, ai sapori antichi fatti di cose semplici e genuine, fanno di questi luoghi una sorta di riserva, dove si possono scoprire gusti e profumi oramai dimenticati da chi, come noi, è alienato dal consumo quotidiano di cibi veloci.

Qui il tempo sembra scorrere con ritmi diversi. Tutti sono parte di tutto, proprio come in un grande puzzle in cui ogni elemento è indispensabile per fare l’insieme, per fare comunità. Un senso di benessere che è percepito anche dal visitatore, passeggiando per le vie del borgo, entrando in una bottega o semplicemente parlando con i vecchi seduti a godersi il tiepido sole d’autunno. Non a caso in una  recente pubblicazione della rivista International Living, Calitri è stato annoverato tra dieci paesi più vivibili al mondo.

Arriva la sera a Calitri e gli ospiti, come fossero in pellegrinaggio, lasciano i camper per trasferirsi nella grande sala parrocchiale dell’attigua Chiesa di San Canio, messa a disposizione dal parroco. Il luogo offre l’opportunità di trascorrere una piacevole serata, scambiando le impressioni della giornata, qualche battuta divertente e, ovviamente, gli assaggi che ogni equipaggio ha preparato. L’occasione è adatta anche per festeggiare l’arrivo del nuovo camper ambito e desiderato da tempo.

Il viaggio, in quella che era la terra dei lupi, il mattino dopo fa tappa a Bisaccia, distante poco più di 20 Km.

Lo spostamento tra le verdeggianti colline e le pale eoliche, oltre modo diffuse, è agevole per la totale assenza di traffico, pare che qui non sia stato ancora inventato.

Giungiamo in paese, posizionato a 860 metri s.l.m., e sostiamo agevolmente nel grande parcheggio a margine del centro abitato, ordinato e ben tenuto.

Ci dirigiamo a piedi verso il castello divenuto successivamente palazzo ducale, un grandioso complesso con alta torre quadrata e una loggia diruta. Danneggiato a seguito del terremoto del 1980, oggi perfettamente restaurato, è utilizzato a scopi sociali e culturali.

Il Castello Ducale ospita al suo interno il Museo Civico di Bisaccia, un’esposizione di notevole interesse, che si articola in un percorso cronologico in senso orizzontale lungo il quale sono in mostra alcuni dei tanti ritrovamenti, di proprietà statale, provenienti dagli scavi eseguiti sulla collina di Cimitero Vecchio. Nel laboratorio di restauro annesso alla galleria ci vengono illustrate alcune tecniche di ricostruzione dei reperti ottenuti dalla recupero dei numerosi frammenti rinvenuti.

L’esposizione è ben organizzata. Consente di ricostruire la storia di Bisaccia in età protostorica e arcaica attraverso i corredi delle numerose sepolture tombali scoperte nel sito archeologico irpino, rendendola di facile acquisizione ai visitatori.

La grande quantità di materiali acquisiti in tanti anni di ricerche archeologiche ha portato alla scelta dei reperti più significativi dei corredi funebri di circa 30 tombe della prima e della seconda età del Ferro (fine IX-VII secolo a.C.), costituiti prevalentemente da manufatti ceramici e oggetti d’ornamento personale, per la prima volta presentati in forme definitive al pubblico italiano. Notevole in tal senso è la tomba della “Principessa”.

La comprensione dei reperti è facilitata anche da esaustive didascalie, nelle quali ogni oggetto viene descritto nei minimi dettagli e contestualizzato per renderne più chiara la collocazione. All’interno delle due sale espositive si trovano ulteriori pannelli didattici ed esplicativi.

Vicino al castello, in piazza Duomo, sorge il Duomo con un bel portale in pietra del 1515, ricostruito nel 1747 da Pietro di Pagano sul posto dell’antica cattedrale.

L’interno, originariamente a navata unica, è a tre navate divise da pilastri, con un magnifico altare maggiore in marmi policromi chiuso da balaustra. Alle spalle dell’altare si può ammirare un bel coro ligneo intagliato del 1622, di bottega bagnolese.

Il trasferimento ad Aquilonia è una piacevole passeggiata motorizzata, disturbata solo da una sottile pioggerellina che rende il paesaggio ancora più suggestivo.

Aquilonia ha cambiato nome più volte durante la sua storia. In origine era Carbonara, alcuni ritengono perché l’attività principale degli abitanti era legata alla produzione del carbone vegetale, altri invece, ritengono per la presenza nel suo territorio di particolari pietre che contenevano petrolio e che bruciavano con fiamma viva come carboni. Ancora oggi tali minerali si trovano nella contrada detta “Sassano”.

Il nome Aquilonia venne attribuito dopo l’Unità d’Italia, nel 1861, per volontà politica dell’amministrazione liberale del tempo a causa della cruenta sommossa popolare filo borbonica del 1860 contro l’Unità italiana che culminò con la trucidazione di nove persone.

Nel 1861, inoltre, venne conquistata dai briganti di Carmine Crocco (non dimentichiamo che siamo al confine con la Lucania, terra di briganti).

Per cancellare la macchia antiunitaria, la comunità chiese e ottenne di cambiare nome al paese. Il centro assunse allora quello attuale di  Aquilonia, in quanto si riteneva fosse il sito dell’antica città degli Irpini presso la quale i Romani sconfissero i Sanniti nel 293 a.C..

Il terremoto del 23 luglio 1930 lasciò gravi ferite nel tessuto urbano del paese, a tal punto che nel dopoguerra fu definitivamente abbandonato e completamente ricostruito in un luogo più alto rispetto alla locazione originale.

Ad Aquilonia Vecchia, in memoria di quanto accaduto, in un edificio restaurato e recuperato per lo scopo è possibile visitare il Museo delle Città Itineranti, un’ampia esposizione di documenti storici, foto, filmati d’epoca, video e pannelli esplicativi dedicata alle vicende di quei paesi d’Italia che, come Aquilonia, Civita di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, e tanti altri, per effetto di eventi sismici, bellici o di altra natura hanno dovuto cambiare sito e che di recente hanno recuperato e rivalutato quelli originari, restituendoli a nuova vita.

Il progetto museale è diretto dal Centro studi delle culture locali del Mediterraneo dell’Università di Salerno.

Il vecchio nucleo è divenuto Parco Archeologico di Aquilonia, di cui restano poche rovine oggetto di studio e di recupero.

La visita al Museo Etnografico “Beneamino Tartaglia” ha destato grande curiosità. In questo grande spazio espositivo (tra i più grandi d’Europa nel suo genere) sono raccolti migliaia di oggetti della millenaria civiltà contadina dell’Appennino, organizzati in un  percorso filologico molto accurato che ricostruisce perfettamente tutti gli ambienti domestici e di lavoro.

La giornata si chiude, come la sera precedente, nella solita sala parrocchiale divenuta ormai piacevole luogo di ritrovo dei camperisti.

Il mattino successivo, per chi lo desidera, visita e messa nella Chiesa dell’Immacolata con benedizione dei partecipanti e, ovviamente, doveroso ringraziamento del Presidente alle autorità e al parroco per la gentile ospitalità.

Si chiude così il breve percorso, che ha offerto nel tempo limitato di un fine settimana esperienze intense e singolari. Un vero viaggio di scoperta, proprio come piace a noi.

Tutti i luoghi visitati, pur non disponendo ancora di specifiche aree attrezzate per camper, hanno parcheggi idonei ad accogliere veicoli ricreazionali, ma la cosa più apprezzabile è data dal fatto che tutti hanno offerto la massima disponibilità e una calda accoglienza, un valore aggiunto che ha reso ancora più piacevole la visita.

Un’ultima segnalazione per una “idea golosa”, a Calitri in Corso Garibaldi, poco distante dalla Chiesa di San Canio, si possono degustare ottimi dolci e si può deliziare il palato con un’ottima cioccolata calda, fatta semplicemente con cacao e latte, senza additivi o polverine magiche di alcun genere.

C. Buonocore